Il voyeurismo malato della nostra società
Il voyeurismo malato della nostra società contemporanea emerge prepotente dall’evento della democraticizzazione della fotografia grazie alla diffusione degli smartphone che rendono capaci tutti, anche i più inetti, di riprendere foto e video.
Da sempre fare una foto richiama in qualche maniera l’atto predatorio del cacciatore. Premere il pulsante dell’otturatore ricorda molto l’atto di premere il grilletto di una pistola, tant’è che in inglese in tutti e due i casi si usa lo stesso verbo, to shoot, sparare.
Si schiaccia un bottone e immediatamente ci si appropria in modo indebito di quello che ci sta davanti senza chiedersi nulla del senso di quello che si sta facendo. D’altra parte, soprattutto nella foto, si coglie un attimo irripetibile, un “infinito istante” che ricorda il memento mori, il fatto che tutto passa, che non siamo padroni di nulla e abbiamo il desiderio irrefrenabile di fermare il tempo.
Ma noi, in una società fatta di immagini, arriviamo all’eccesso.
Il voyeurismo, il desiderio di raggiungere un orgasmo attraverso l’osservare di nascosto un evento nel quale non si è coinvolti, viene facilmente appagato.
Ci si sente padroni di una realtà che non ci può ferire, ma che comunque in qualche maniera ci appaga a meraviglia, ed è al nostro servizio.
Ci si sente padroni di una realtà che non ci può ferire, ma che comunque in qualche maniera ci appaga a meraviglia, ed è al nostro servizio.
Davanti alla tragedia la persona media del nostro tempo pensa all’orgasmo virtuale da raggiungere invece di “sporcarsi” con la realtà e farne parte attiva nel tentativo di migliorarla. Non è fotografia di denuncia. Non è fotografia di testimonianza. È puro e semplice voyeurismo che deve essere curato.
Mi colpisce l’articolo che mi è capitato di leggere su pozzuoli21.it (notizia poi verificata e riportata da altre fonti più vicine all’accaduto) del comportamento della gente davanti al tragico incidente accaduto in questi giorni a Mestre dove un autobus è precipitato dal cavalcavia. Ion pochi cercavano di dare aiuto. In molti, telefonini alla mano, riprendevano “lo spettacolo”.
Gli eroi non si misurano per quanto vincono, ma per come si comportano. Il fatto che i tre primi soccorritori avessero tutti alle spalle una vita di difficoltà fa pensare a questo. E torna in mente Faber quando cantava “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
Gli eroi non si misurano per quanto vincono, ma per come si comportano. Il fatto che i tre primi soccorritori avessero tutti alle spalle una vita di difficoltà fa pensare a questo. E torna in mente Faber quando cantava “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
E dopo tutto questo sproloquio, a me rimane tanta tristezza.
L’articolo potete leggerlo QUI